21 set 2012

POLIENTERTAINMENT

No, non è una arzigogolamento linguistico ma è un termine creato appositamente per definire una certa attività che i nostri ineffabili rappresentanti politi svolgono per catturare la pubblica attenzione. Deriva dall'unione delle parole iglesi "politics" e "entertainmement" e vuole alla lettera significare intrattenimento politico.


In pratica dato che con le parolacce d'intrattenimento l’audience è assicurata, i nostri delegati a rappresentarci nell'agone politico, coloro che devono (anzi dovrebbero) portare avanti le nostre civiche istanze, si dedicano all'intrattenimento, allo svago mediatico collettivo, sono diventati insomma star del gran circo del pubblico divertimento.

Sono dei pagliacci?  Si, ma sono dei pagliacci mancati, e non fannon ridere nessuno.
La loro à una tragica comicità, e chi la guarda in televisione, la legge sui giornali, la analizza sui computer domestici non si diverte  ma, anzi, manifesta frequenti conati di vomito. E così, dato che il loro "afflatus" comico non si svela più palesemente, cosa hanno pensato di proporre i nostri uomini politici alla platea adorante dei loro inspiegabili sostenitori pur di mantenere il consenso?

La risposta è scontata: il turpiloquio, l'insulto, la parolaccia, lo scandalismo, gli attacchi personali, cose  che offrono garanzia di visibilità nella politica ma che hanno definitivamente sostituito il nobile confronto sulle idee. Insomma, sembra che costoro siano tra i più grandi utilizzatori iniziali di parolacce, nella doppia accezione di "epiteto offensivo, ingiurioso, insulto" e di "parola, espressione o frase ritenuta sconveniente in quanto riferita a funzioni scatologiche o a organi e atti sessuali designati con termini volgari".

Se il «potenziale eversivo della merda», evocato da un comico come Roberto Benigni (nel suo Inno del corpo sciolto), non scandalizza più nessuno, al contrario quando in una telefonata tra Valter Lavitola, direttore de “L’Avanti!” e Silvio Berlusconi si dice: «Io…tra qualche mese me ne vado per i cazzi miei…da un’altra parte e quindi…vado via da questo Paese di merda…di cui…sono nauseato…punto e basta»  ne restiamo disgustati e storciamo il naso lamentando il generico "cattivo gusto" dilagante.

Per dovere di cronaca riferisco alcune perle di questo linguaggio: i "vaffa...." di Grillo, un bellissimo «nano di Venezia rompicoglioni» somministrato in un comizio di Bossi in quel di Pontda, un ributtante «handicappata di merda» gridato nell’aula di Montecitorio alla deputata disabile del Pd Ileana Argentin, un colorito "Coglioni!" dato da S.Berlusconi a tutti gli elettori di sinistra,o una maggioranza forte e coesa "con le palle", o gli  "Stronzo" detti da Fini, o l"Elite di merda" detto da Brunetta o, per finire, il grandioso "culona” riferito alla cancelliera tedesca Angela Merkel.


Oramai episodi di questo tipo non si contano più: l'uso leggiadro della parolaccia da parte di alte cariche dello Stato, ministri, onorevoli e affini è all'ordine del giorno. Il rapido, diretto, sgargiante insulto dell’uno verso l’altro e dell’altro verso l’uno fa parte di quel lessico della volgarità in cui i politici si immergono per sembrare più vicini ai loro elettori televisionizzati.

È il Paese dei Lavitola e dei Tarantini, nel cui linguaggio c’è «tutta la miseria del turpiloquio che cresce a mano a mano che diminuiscono le idee. Volessimo fare un raffronto col passato, è l'indiscutibile povertà di linguaggio: ben diverso da quando, nel 1948, Alcide De Gasperi dava dell'«agnello dal piede caprino» al leader comunista Palmiro Togliatti, che gli rispondeva accusandolo di essere «uomo di non troppa grande cultura».

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