Non sono un assiduo frequentatore di gallerie d'arte o siti omonimi però ogni qualvolta mi capita di ammirare un'opera di Edward Hopper rimango rapito dal suo realismo metafisico e dalla forte sensazione di inquietudine che comunica.
Nelle sue rappresentazioni prevale una luce fredda, tagliente, quasi artificiale, unita ad una drammatica sensazione di estraneità e di incomunicabilità. Predilige gli ambienti urbani o rurali di un'America secondaria, di provincia, dove rare sono le figure umane, immerse in una dolorosa solitudine. Presenza costante e prorompente in ogni composizione hopperiana è un fascio di luce diretta sulla scena, che inonda letti disfatti, tavolini di bar, tetti spioventi, giardini e visi immobili, quasi a costituire un’unica fonte comune di possibile aggregazione. Ma ciò che emerge prepotentemente dai suoi quadri è il silenzio, un silenzio assordante che ti permea e che senti fisicamente sulla pelle, freddo e struggente.
Nato in una piccola cittadina sul fiume Hudson da una colta famiglia borghese americana, Hopper entra nel 1900 alla New York School of Art. Tra il 1906 e il 1910 viaggia in Europa entrando in contatto con i grandi maestri dell’Impressionismo e forma il suo stile.
Il successo arriva negli anni venti, ormai quarantenne, dopo un lungo periodo di attività come illustratore pubblicitario. Nel 1937 Hopper acquista una casa a Truro (Massachusetts), nella penisola di Cape Cod, dove da allora iniziò a passare regolarmente i mesi estivi. Il paesaggio di Cape Cod, con le sue dune, case e fari, si ritrova in molti suoi dipinti, come The House on The Hill, Cape Cod Evening o Cape Cod Morning.
Annoverato tra i grandi maestri americani, Hopper è anche considerato in alcuni ambienti artistici il precursore della Pop Art.
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